URBANI

Senza pretese

 

Ho riflettuto a lungo su quale fosse il modo più adatto a connotare la pittura dell’amico Pietro Bellini. Poi, come spesso succede quando si sfronda il pensiero da tutto ciò che è innecessario, ho trovato l’espressione adatta, rispettosa della sua opera, di quello che essa trasmette dopo averlo trovato, magari senza cercarlo.

La pittura di Bellini è senza pretese, perché non esige, non pretende nulla che non sia la bellezza della realtà immaginata con fedeltà visiva, misura e rispetto: tutto il rispetto che nasce dalla radicata, imperturbabile fede nell’esistenza di un mondo fuori di noi, un mondo intessuto di bellezza, almeno per chi la sappia cogliere.

L’opera di Bellini è fuori dal tempo, evita come la peste gli indugi cervellotici, gli eccessi allegorici e simbolici propri di molta arte contemporanea perennemente intenta a dire senza dire, soffocata da forme di contorsionismo comunicativo stancante, solipsistico. Eppure la pittura di Bellini, seppur libera da aspirazioni concettose ed intellettualistiche, monda di tutti gli strampalati rimandi estetici e meta-figurativi su cui certi cosiddetti artisti pretendono di costruire il proprio destino, non si ferma a ciò che ci mostra. Nella nettezza delle forme, dei rapporti proporzionali e cromatici la realtà ritratta acquista una qualità fisica, una presenza ottica tali da raggiungere l’anima dopo aver colmato lo sguardo; ed allora, proprio come agiva la natura còlta negli antichi idilli campestri, essa suggerisce un oltre, insinua il sospetto che la luce tersa, l’atmosfera radiosa, immobile, capace di definire con nettezza i profili e le ombre, preparino nella quiete del meriggio un evento segreto, un breve sussulto cui è forse possibile assistere, così come accadrebbe nel lungo piano-sequenza di un grande regista: che questo regista sia l’autore, o qualcuno al di sopra di lui non conta troppo. Qui conta l’emozione dell’osservatore rapito dal palpito astronomico e stagionale, smarrito nella contemplazione di paesaggi lombardi tanto noti quanto estasianti; dell’osservatore toccato dalla pura presenza della vita visibile, e della vita invisibile.

Edoardo Gianfagna