ADAMELLO

Più vero del vero

 

Nell’osservare le cose, le forme in cui ci appare la natura, diamo per scontato che quello che vediamo sia la realtà: l’unica realtà possibile. Non è così, o perlomeno non lo è per me.

Nel corso degli anni rivedere un’immagine, rileggere una frase, scorrere con gli occhi un paesaggio mi ha spesso portato a ri“vedere” e ri”sentire” sfumature mai viste che nel loro prendere corpo trasformavano la mia memoria. Forse il miglior modo di guardare è proprio guardare con occhi nuovi, ma non è sempre possibile. Spesso la nostra anima è stanca e anziché scrutare con appassionata curiosità l’altro che le si para di fronte, ci rimanda una polverosa immagine d’archivio: un “deja vu” più comodo che non richiede stupori o fantasia e non ci obbliga ad esporci ad un nuovo confronto con quello che crediamo di avere compreso da sempre e abbiamo archiviato nelle fondamenta del nostro pensiero.

E così, quando l’artista che è in noi sonnecchia, vengono in nostro aiuto gli artisti altri, quelli con maggiore vocazione e maggiore fortuna: osservano il mondo per noi e ce lo restituiscono trasformato dal faticoso e appassionato passaggio attraverso il crivello dei loro occhi e della loro anima.

In particolare, tra le arti più rappresentative della realtà presunta, è la pittura che agli esordi muoveva i cuori dei fedeli all’adorazione delle immagini sacre galleggianti sui fondali d’oro, diventate poi ritratto umano e umanista e infine rappresentazione di un’intuizione psicologica che sapeva leggere dietro alla superficie riflettente della pelle lo spessore e il dolore dell’anima scomponendola e ricomponendola in nuove forme e geometrie inusuali fino a disperderla nell’astratto; come se tutto fosse già stato visto e raccontato, come se i nuovi supporti tecnologici, fotografia, cinema, digitale, non consentissero concorrenza nella rappresentazione del vero o perlomeno di quello che prendiamo per vero.

Ma l’artista autentico non si deve preoccupare: è proprio la sua astuta menzogna che riesce ancora a commuoverci, la sua capacità di vedere per noi e restituirci un riflesso diverso delle cose che abbiamo guardato da sempre con qualche sufficienza, vedendone solo una parte.

E così Pier Bellini, amico da anni, mi commuove con i suoi canneti, i suoi scorci di fiume, le sue traversine e rotaie. Cose di qui e cose di ovunque. Già viste, ma ri-viste come mai mi era capitato prima.

Mi colpisce la sua ostinata ricerca di evidenziare il dettaglio, la sua evidente volontà di restituire

valore alla tecnica: un  modo di dipingere, oggi singolare, che richiede pazienza in chi lo esegue e in chi lo ammira.

La puntigliosa, enfatica riproduzione delle trasparenze e delle lucentezze, che a prima vista sarei stato incline ad attribuire ad una ostinata ricerca della perfezione formale, è invece il suo particolarissimo caleidoscopio: un setaccio che ci sfarina immagini sempre uguali all’originale, ma profondamente trasformate: più vere del vero.

 Enrico De Tavonatti